Brevetti biotech: sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso International Stem Cell
BREVETTI E BIOTECNOLOGIE
Secondo le norme UE sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, per “embrione umano” si intende un embrione che possa svilupparsi in essere umano; gli ovociti non fecondati ma stimolati tramite partenogenesi, essendo incapaci di svilupparsi in esseri umani, non ricadono in tale definizione di embrione e sono di conseguenza brevettabili. Ciò vale sin quando una manipolazione genetica dell’ovocita stimolato non attivi tale capacità.
Quanto sopra è il significato essenziale della sentenza emessa ieri dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (nel seguito CG) nel procedimento C-364/13 fra la International Stem Cell Corporation e il Comptroller General of Patents, Designs and Trade Marks del Regno Unito.
Fatti all’ origine della causa
La disputa era nata dal rifiuto opposto dall’ufficio brevetti del Regno Unito alle domande di brevetto presentate dalla International Stem Cell Corporation per invenzioni comprendenti la produzione di linee di cellule staminali pluripotenti da ovociti non fertilizzati ma attivati tramite partenogenesi (tali ovociti sono chiamati nel seguito “partenoti”).
Il rifiuto dell’ufficio di concedere i brevetti si fondava sulla sentenza della CG nel caso C-34/10 Brüstle-Greenpeace che aveva interpretato il concetto di “embrione umano” presente nelle norme UE sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche in senso ampio ed escluso dalla brevettabilità qualsiasi ovocita umano non fertilizzato la cui divisione e ulteriore sviluppo tramite qualsivoglia sistema lo avesse reso capace di “dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano”.
La International Stem Cell Corporation aveva presentato appello contro il rifiuto dell’ufficio brevetti, sostenendo che le invenzioni in questione non ricadessero fra quelle escluse dalla brevettabilità; il tribunale nazionale competente aveva sottoposto il caso alla CG al fine di stabilire se i partenoti umani, che al contrario degli ovociti fertilizzati non contengono il DNA paterno necessario per lo sviluppo e sono quindi incapaci di svilupparsi in esseri umani, rientrano nella definizione di “embrioni umani” dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera c) della direttiva UE 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche.
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
La sentenza della CG conferma in larga parte le conclusioni dell’avvocato generale presentate nello scorso luglio, e afferma in particolare che il termine “embrione umano” di cui all’ articolo 6, paragrafo 2, lettera c) deve essere inteso come intrinsecamente capace di svilupparsi in un essere umano.
Ma in che modo questa affermazione può conciliarsi con la sentenza Brüstle-Greenpeace? La CG spiega che nel caso Brüstle-Greenpeace le osservazioni scritte presentate dal tribunale nazionale attestavano che i partenoti non avevano la capacità di svilupparsi in esseri umani. Nel caso in questione il tribunale nazionale aveva dichiarato invece che I partenoti non sono in quanto tali capaci di dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano. Ciò che la CG intendeva nella decisione Brüstle-Greenpeace on l’espressione “dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano” era che l’embrione dovesse essere capace di svilupparsi in essere umano per ricadere entro l’esclusione dalla brevettabilità prevista dall’articolo 6, paragrafo 2, lettera c).
La CG sottolinea inoltre che la International Stem Cell Corporation ha modificato le proprie domande di brevetto per escludere l’eventuale uso di qualsiasi metodo volto, mediante interventi genetici supplementari, ad ovviare al fatto che il partenote non possa svilupparsi in essere umano.
Compete ai giudici nazionali dei paesi UE stabilire se, alla luce delle conoscenze sufficientemente comprovate e convalidate dalla scienza medica internazionale, i partenoti umani abbiano o meno la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano. A tal riguardo la sentenza comprende due avvertenze: a) che la direttiva UE 98/44 è intesa a disciplinare non l’uso di embrioni umani nell’ambito di ricerche scientifiche ma esclusivamente la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, e b) che il concetto di «embrione umano», ai sensi della direttiva deve essere interpretato in modo uniforme in tutta l’UE.
In conclusione, la CG risponde alla questione posta dal tribunale del Regno Unito nei seguenti termini:
“L’articolo 6, paragrafo 2, lettera c) deve essere interpretato nel senso che un ovulo umano non fecondato il quale, attraverso la partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi, non costituisce un «embrione umano», ai sensi della suddetta disposizione, qualora, alla luce delle attuali conoscenze della scienza, esso sia privo, in quanto tale, della capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.”
Commento
La sentenza della CG nel procedimento C-364/13 mitiga i limiti molto restrittivi stabiliti dalla sentenza Brüstle-Greenpeace ed è fondamentale per la tutela brevettuale degli elementi isolati del corpo umano anche dal punto di vista dell’articolo 5 della direttiva UE 98/44.
L’articolo 5 comma 1 prevede infatti che il corpo umano, “nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo”, (…), non possa costituire invenzione brevettabile.
La sentenza in oggetto definisce indirettamente il significato di “nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo” poiché di fatto, se secondo la CG un’entità quale il partenote non può essere considerato un embrione perché al contrario di un ovocita fertilizzato esso è incapaci di svilupparsi in un essere umano, ciò significa che un partenote non può essere considerato uno “stadio della costituzione e dello sviluppo” del corpo umano. Di conseguenza, questa pronuncia stabilisce un principio giuridico teoricamente applicabile ad altri elementi del corpo umano quali le cellule staminali embrionali isolate, che pur avendo perso il carattere totipotente sono ancora capaci di svilupparsi in una vasta, seppure incompleta, gamma di tessuti umani: sono infatti diventate cellule pluripotenti.
La questione della brevettabilità delle cellule staminali embrionali pluripotenti piuttosto che totipotenti era stata infatti toccata, ma lasciata senza risposta nella sentenza Brüstle-Greenpeace. Questa nuova sentenza afferma chiaramente che se un’entità, quale una cellula staminale embrionale o un ovocita stimolato “artificialmente”, è incapace per ragioni scientifiche di svilupparsi nella intera serie di tessuti umani necessari a formare un corpo umano completo, essa non è esclusa dalla brevettabilità a condizione, nel rispetto della sentenza Brüstle-Greenpeace, che tale entità non sia risultante dalla distruzione di un embrione umano.