Posted by Laura Ercoli on 12 luglio 2022

NFT e proprietà intellettuale, come tutelarsi dall’uso non autorizzato di marchi e design

Il boom degli NFT iniziato nel 2021 fa già registrare i primi conflitti riguardanti la proprietà intellettuale: ecco cosa occorre sapere per comprendere il fenomeno NFT e predisporre le tutele necessarie a impedire l’uso non autorizzato di marchi, design e altri diritti nelle nuove piattaforme virtuali.

“Non Fungible Token” e il suo acronimo NFT sono stati riconosciuti Word of the Year per il 2021 dal Collins Dictionary, battendo altri candidati molto popolari fra i quali “crypto” e “metaverse”.

NFT e proprietà intellettuale

MetaBirkin create da Mason Rothschild – immagini tratte dal sito looksrare.org

Gli NFT esistono in realtà da diversi anni. A cosa è dovuta dunque questa popolarità improvvisa?

La risposta sta nel valore assai elevato raggiunto da alcuni NFT venduti negli ultimi mesi e nel risalto mediatico che è stato dato sia alle transazioni in sé che ai conflitti riguardanti la proprietà intellettuale che in alcuni casi ne sono conseguiti.

Nell’arco del 2021, per fare solo qualche esempio, un’opera digitale dell’artista noto come Beeple è stata venduta per oltre 69 milioni di USD, il primo tweet del CEO di Twitter Jack Dorsey è stato pagato oltre 2,9 milioni di USD e alcuni NBA Top Shots (registrazioni video di momenti di partite di basket NBA) sono stati scambiati per centinaia di migliaia di USD.

Dunque la notorietà è stata data dalla scoperta del potenziale economico dell’NFT e dai primi esempi del suo sfruttamento. Ma perché proprio ora?

Per dare una risposta occorre capire innanzitutto cos’è un NFT, un Non Fungible Token.

Cos’è un token

Un token è un certificato digitale registrato su blockchain che identifica in modo univoco e non replicabile la proprietà di un bene digitale.

Essenzialmente, si tratta di un asset digitale, basato su tecnologia blockchain e contenente delle regole (dette smart contract), che può essere utilizzato per rappresentare beni fungibili, ovvero beni che a livello di singola unità non hanno alcuna individualità, hanno un valore definito e sono intercambiabili; si pensi per esempio a una moneta da un euro, che può essere sostituita da un’altra moneta da un euro.

Un token può rappresentare molti tipi di beni fungibili, ad esempio azioni, petrolio, grano, criptovaluta e molto altro, e in molti casi è esso stesso fungibile, ovvero può essere scambiato con un altro token dello stesso genere.

Cos’è un Non Fungible Token o NFT

Il Non Fungible Token (detto NFT) nasce essenzialmente al fine di rendere il principio del token applicabile ai beni non fungibili, ovvero dotati di unicità o caratterizzati dalla scarsa disponibilità di esemplari e non intercambiabili; l’NFT è infatti utilizzato soprattutto per “tokenizzare” contenuti digitali unici, compresi ad esempio opere d’arte digitale, registrazioni audio, video, immagini e “meme”.

L’unicità e la scarsità discendono dagli standard delle stesse piattaforme che generano gli NFT, le quali concedono la creazione di un numero limitato di NFT multipli (nel caso, ad esempio, della piattaforma Rarible) oppure solo di NFT a edizione singola (nel caso della piattaforma Super-Rare).

L’NFT è dunque un token che certifica la proprietà di un bene non fungibile; come il bene a cui fa riferimento, l’NFT di norma è non fungibile, ovvero non è scambiabile con un altro NFT.

L’NFT deve identificare, come minimo, il bene stesso (ad esempio l’opera d’arte digitale, di solito tramite un link) e il suo proprietario; ma può contenere anche uno smart contract che specifica i termini del trasferimento di proprietà prevedendo eventuali automatismi, come ad esempio il pagamento di una percentuale al venditore sull’incremento del prezzo di ogni ulteriore vendita dell’NFT (il cosiddetto diritto di seguito). Ciò permette al creatore dell’NFT di monetizzare in modo automatico la crescita di valore di un NFT nel passaggio da un proprietario al successivo.

È da sottolineare che l’acquisto un NFT non comporta necessariamente l’acquisto della proprietà del bene digitale a cui esso si riferisce, né tanto meno di qualsivoglia diritto sul bene, compresi i diritti di proprietà intellettuale.

Ad esempio, l’acquirente dell’NFT del primo tweet di Jack Dorsey non ha acquisito la proprietà del tweet originale, né gli è consentito di riprodurre il tweet a scopi commerciali quale il merchandising.

Per le tipologie di NFT più diffuse (che non contengono l’opera stessa, ma la identificano ad esempio tramite un link, e che non prevedono il trasferimento dei diritti di proprietà intellettuale) l’acquisto può essere paragonabile a quello di una stampa o di una foto a tiratura limitata: l’NFT certifica la titolarità di una delle poche copie digitali disponibili di un originale.

Tuttavia, complici le notizie fuorvianti in circolazione, si sono verificati diversi casi di transazioni di NFT in cui i compratori erano convinti di acquisire diritti non previsti nello smart contract né in alcun altro accordo con i venditori.

Perché proprio adesso?

Dal momento che la tecnologia blockchain è già in uso e che i primi NFT risalgono a diversi anni fa, due motivi ipotizzabili per cui il mercato scopre ora il potenziale economico degli NFT sono innanzitutto l’accelerazione dello sviluppo del commercio elettronico, alla quale hanno contribuito i periodi di lockdown succedutisi durante le emergenze sanitarie globali del 2020-2021; ma senz’altro la notorietà degli NFT è cresciuta anche grazie al ruolo che essi stanno assumendo nel gioco online, settore in fase di grande sviluppo a livello globale che già da qualche anno ha raggiunto un valore superiore a quello complessivo generato dalle industrie musicale e cinematografica.

NFT e proprietà intellettuale: i primi conflitti

I maggiori conflitti riguardanti i diritti di proprietà intellettuale discendono dal fatto che, almeno per il momento, è possibile creare NFT riferiti a beni coperti da diritti di proprietà intellettuale senza il consenso del titolare di tali diritti. Riportiamo alcuni esempi di conflitti sorti negli ultimi mesi riguardanti NFT, diritti di marchio e diritti d’autore.

Marchi

Due recenti dispute legali sono state originate negli Stati Uniti dalla vendita di NFT riferiti a beni tutelati da diritti di marchio: l’ultima in ordine cronologico è la causa iniziata dalla Nike contro la piattaforma di reselling StockX in seguito alla vendita non autorizzata di 500 NFT riferiti a calzature (sneaker) a marchio Nike. Dal momento che tali NFT comprendono collegamenti all’immagine e al nome dei prodotti a marchio Nike, la Nike sostiene che gli NFT costituiscono, fra l’altro, violazione e diluizione del marchio, oltre a falsa indicazione di origine. Inoltre gli NFT incriminati sono sì collegati a un paio di sneaker reali, in quanto danno diritto all’acquirente di esigere il prodotto fisico da StockX, ma possono comunque essere scambiati in quanto beni digitali se il diritto al ritiro del prodotto fisico non è stato esercitato. Dunque gli NFT di StockX sono assimilabili a una ricevuta digitale di proprietà di un paio di scarpe – e dunque sono parte di un normale processo di vendita – o sono prodotti a sé stanti che utilizzano illegittimamente un marchio altrui?

Il secondo caso ha visto la maison Hermès, titolare dei diritti di proprietà intellettuale sul rinomato modello di borsa Birkin, rivolgersi a un tribunale per impedire all’artista Mason Rothschild la commercializzazione di NFT connessi a immagini digitali riproducenti in modo riconoscibile, e senza il consenso di Hermès, la borsa Birkin rielaborata nel materiale (pelliccia sintetica), nel colore e nelle decorazioni. Gli NFT erano stati venduti, con il nome MetaBirkin, a prezzi che si avvicinavano a quelli di una vera borsa Birkin. Hermès ha accusato l’artista di violazione di marchio. L’artista sostiene che le immagini da lui prodotte godono della tutela riservata alle opere d’arte dal primo emendamento della Costituzione statunitense. Le MetaBirkins sono opere d’arte, o sono solo un mezzo per sfruttare illegittimamente la notorietà della borsa Hermès? In questo caso un Tribunale di New York ha già emesso una prima decisione: leggi qui il nostro commento.

Diritto d’autore

Nel novembre del 2021 il celebre regista statunitense Quentin Tarantino annuncia la sua intenzione di commercializzare una serie di NFT contenenti frammenti della sceneggiatura originale, arricchiti da commenti audio dello stesso regista, di alcune scene più note di Pulp Fiction, il film di maggior successo di Tarantino risalente al 1994.

La Miramax, casa produttrice del film in questione, diffida immediatamente Tarantino dal procedere, sostenendo che la vendita di tali NFT avrebbe violato i diritti sulla sceneggiatura spettanti alla Miramax in base alle condizioni contrattuali sottoscritte a suo tempo dal regista.

Tarantino NFT diritto d'autore

L’immagine della home page del sito tarantinonfts.com

Nonostante ciò, nel gennaio 2022 Tarantino vende il primo NFT per oltre un milione di USD e poco dopo inaugura un proprio sito web dedicato alla collezione degli NFT contestati.

La Miramax nel frattempo avvia negli Stati Uniti un procedimento legale contro Tarantino per violazione di marchio e di diritto d’autore. Il regista sostiene che la Miramax detiene sì i diritti d’autore sul film ma che tali diritti non si estendono alla sceneggiatura, pertanto il contratto firmato non gli impedisce di produrre e commercializzare gli NFT in questione.

 

È chiaro che gli NFT stanno creando situazioni del tutto nuove in cui le norme sulla proprietà intellettuale potrebbero trovare difficoltà di applicazione in special modo laddove registrazioni, tutele, accordi e contratti erano stati predisposti prima che emergessero le potenzialità di mercato degli NFT.

Aggiornare la tutela di marchi, design ed eventuali contratti

Quanto il fenomeno NFT sarà duraturo non è prevedibile, ma in generale è evidente che i fortissimi investimenti nelle nuove piattaforme virtuali (vedi ad esempio la recente intervista della CNBC a Mark Zuckerberg) sono mirati innanzitutto ad offrire alle imprese sempre maggiori opportunità commerciali e di branding, a loro volta portatrici di nuove sfide per la tutela della proprietà intellettuale.

Come già evidenziato nel nostro recente articolo Il metaverso, i marchi e la proprietà intellettuale: opportunità e rischi, è dunque sempre più consigliabile prendere in considerazione l’estensione della tutela di marchi e design registrati per coprire prodotti e servizi virtuali e NFT: sono migliaia le imprese che lo hanno già fatto, fra le quali la stessa Nike.

È molto utile anche

  • monitorare l’eventuale uso da parte di terzi dei propri marchi sulle piattaforme virtuali
  • curare gli aspetti della tutela attinenti ai nomi a dominio
  • valutare la necessità di aggiornare accordi e contratti già in essere in base alle nuove realtà digitali.

Può inoltre essere opportuno adottare ulteriori misure e strategie, da valutare caso per caso.

Per informazioni

Hai necessità di tutelare i tuoi marchi e design dall’uso non autorizzato su internet e nelle piattaforme virtuali? Contattaci per informazioni.

 

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