L’Avvocato Generale: un ovulo non fecondato e attivato per partenogenesi non è “embrione umano”
BREVETTI BIOTECH – GIURISPRUDENZA
L’Avvocato Generale Villalon rilegge la sentenza Brüstle-Greenpeace alla luce di un contesto scientifico aggiornato, ed esprime il parere che gli ovociti attivati per partenogenesi, in quanto incapaci di svilupparsi in esseri umani, non possano essere considerati “embrioni umani” ai sensi delle norme europee sui brevetti per invenzioni biotecnologiche, e non sono quindi esclusi dalla brevettabilità.
L’Avvocato Generale Cruz Villalon ha presentato il 17 luglio 2014 le sue conclusioni nella causa C-364/13 dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea fra la International Stem Cell Corporation e il Comptroller General of Patents britannico riguardante la brevettabilità di un metodo per la produzione di linee cellulari staminali umani pluripotenti da ovociti non fecondati ma attivati tramite partenogenesi.
I fatti e la questione pregiudiziale
La International Stem Cell Corporation (ISC) aveva richiesto due brevetti presso l’Ufficio brevetti del Regno Unito (l’Ufficio) per due invenzioni che prevedono l’ottenimento di cellule staminali embrionali umane da ovociti non fecondati, ma attivati tramite partenogenesi.
L’Ufficio aveva obiettato che le invenzioni non erano brevettabili ai sensi della direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (la direttiva) secondo i criteri di interpretazione stabiliti dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza Brüstle-Greenpeace (vedi notizia sull’argomento). In tale decisione la Corte aveva interpretato le norme comunitarie sui brevetti per le invenzioni biotecnologiche per definire il concetto di “embrione umano” e la portata del divieto di brevettare il corpo umano, nei vari stadi della sua formazione, nonché le invenzioni che comportino l’uso di embrioni a scopi industriali o commerciali. Secondo la sentenza Brüstle-Greenpeace, il concetto di “embrione umano” ai sensi dell’art. 6 della direttiva deve essere inteso in senso estremamente ampio, e include anche ovuli umani non fecondati che siano stati indotti a dividersi e svilupparsi attraverso partenogenesi o altre tecniche.
La ISC ha obiettato che la sentenza in questione non sarebbe applicabile al caso in oggetto in quanto l’invenzione riguarda ovociti che, essendo attivati per partenogenesi, conterrebbero solamente cellule staminali pluripotenti (non totipotenti) e per questo non sarebbero in grado di svilupparsi in esseri umani, al contrario degli embrioni ottenuti per fecondazione.
L’Ufficio aveva comunque deciso di respingere le domande di brevetto presentate dalla ISC in quanto contrarie alle norme britanniche che attuano la direttiva. L’ISC aveva impugnato la decisione dinanzi al giudice del rinvio, che aveva sospeso il procedimento e sottoposto la seguente questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE:
“Se gli ovuli umani non fecondati, stimolati a dividersi e svilupparsi attraverso la partenogenesi, e che, a differenza degli ovuli fecondati, contengono solo cellule pluripotenti e non sono in grado di svilupparsi in esseri umani, siano compresi nell’espressione “embrioni umani” di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c) della direttiva 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche”.
Le conclusioni dell’Avvocato Generale
L’Avvocato Generale (AG) Cruz Villalon ha espresso il parere che gli ovuli umani non fecondati e stimolati a dividersi e svilupparsi per partenogenesi non possano intendersi come “embrioni umani” ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera c) della direttiva.
L’AG concorda con la ISC che tali ovuli, detti per brevità “partenoti”, sono privi del DNA paterno, e pertanto a causa dell’imprinting genomico incapaci di “dar avvio al processo di sviluppo di un essere umano” se non – teoricamente – dopo importanti manipolazioni genetiche. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non sono però noti metodi per ottenere un essere umano da un partenote. Gli esperimenti eseguiti hanno avuto successo successo solo su partenoti animali geneticamente manipolati.
l’AG riconosce che secondo la sentenza Brüstle-Greenpeace la nozione di “embrione umano” ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera c) della direttiva debba essere intesa in senso ampio, “sin dalla fase della sua fecondazione e dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano”. Sulla base di questo principio, la sentenza Brüstle-Greenpeace estendeva la nozione di “embrione umano” tanto agli ovuli fecondati che agli ovuli non fecondati e ai partenoti. Tuttavia, secondo l’AG detto “processo di sviluppo di un essere umano” non può essere semplicemente “avviato”, ma deve essere inteso come in grado di giungere fino al termine dello sviluppo.
Secondo l’AG la Corte, nel caso Brüstle-Greenpeace, si era avvalsa di una conoscenza scientifica ancora incompleta e non era consapevole che, in assenza di profonde manipolazioni genetiche, un partenote è incapace di svilupparsi in un essere vivente (animale o umano che sia).
L’AG ammette inoltre che esistono tecniche di manipolazione genetica che rendono i partenoti di topo capaci di portare a termine lo sviluppo, ma che tali tecniche erano esplicitamente escluse nelle domande di brevetto ISC oggetto del presente caso. Tra l’altro, secondo l’opinione dell’AG la mera possibilità di una successiva manipolazione genetica che alteri la caratteristiche fondamentali di un partenote, non cambia la natura del partenote prima della manipolazione, cioè la sua incapacità di sviluppare un essere vivente.
Tuttavia, in previsione della possibilità che in futuro vengano sviluppate tecniche di manipolazione genetica in grado di rendere i partenoti ottenuti da ovuli umani capaci di svilupparsi in esseri umani, l’AG consiglia alla Corte di Giustizia di rispondere alla questione pregiudiziale in maniera condizionata come segue:
“gli ovuli umani non fecondati, la cui divisione e il cui sviluppo ulteriore siano stati stimolati attraverso la partenogenesi, non sono compresi nella nozione di “embrioni umani” di cui all’ articolo 6, paragrafo 2, lettera c) della Direttiva 98/44/CE fintantoché non siano capaci di svilupparsi in un essere umano e non siano stati geneticamente manipolati per acquisire siffatta capacità”.